Con sentenza n. 112 dell’8 febbraio u.s., il TAR Lombardia – Sezione staccata di Brescia – ha ribadito il principio secondo cui, in presenza di una specifica pronuncia della CGUE di non conformità rispetto alla disciplina europea, la norma italiana censurata (nel caso di specie, quella relativa al subappalto) deve essere disapplicata, oltre che dai giudici interni, anche dalle pubbliche amministrazioni nazionali che, pertanto, non devono tenerne conto nell’adozione degli atti di loro competenza
Infatti, le sentenze della Corte di giustizia hanno il valore di fonte del diritto comunitario nella interpretazione delle norme UE e nella individuazione degli ambiti di applicazione delle stesse, con efficacia immediata e diretta nell’ordinamento italiano.
Di talché – sempre secondo il Collegio –, l’interpretazione fornita da tali sentenze crea un vincolo per le istituzioni degli Stati membri, cui si connette l’obbligo di disapplicare la normativa interna eventualmente giudicata contraria al diritto UE, sia per i giudici che per gli apparati amministrativi interni.
In altri termini, qualora il conflitto tra le discipline sia stato appurato da una fonte univoca, quale una sentenza della Corte, la non applicazione della normativa interna costituisce un potere-dovere gravante non solo sui giudici, poiché la disapplicazione è un obbligo per lo Stato membro in tutte le sue articolazioni e, quindi, anche per gli apparati amministrativi che, attraverso i suoi funzionari, siano chiamati ad applicare la norma interna contrastante con il diritto euro – unitario (al riguardo, cfr. ex multis CGUE, 22 giugno 1989, C-103/88 e 24 maggio 2012, C-97/11; Corte Costituzionale, sentenza 21 aprile 1989 n. 232; Cons. Stato, VI, 23 maggio 2006 n. 3072; VI, 7874/2019; V, 5 marzo 2018, n. 1342).
Solo in questo modo, infatti, si realizza la piena applicazione delle norme comunitarie, da considerarsi di rango preminente rispetto a quelle dei singoli Stati membri (cfr. CGUE sentenza 9 marzo 1978, causa 106/77 – c.d. “sentenza Simmenthal”).
In ossequio a tali principi, il Tribunale amministrativo per la Lombardia ha annullato il provvedimento con cui una stazione appaltante aveva negato all’impresa esecutrice dell’appalto l’autorizzazione a subappaltare parte dei lavori, sul rilievo che fosse stato praticato un corrispettivo non congruo, poiché ribassato oltre il 20 per cento rispetto al prezzo posto a base del contratto principale.
Segnatamente, tale diniego di autorizzazione era stato disposto in virtù della previgente disciplina di cui all’art. 105, comma 14 del codice dei contratti, la quale – nella versione ratione temporis applicabile alla procedura di affidamento – disponeva che “l’affidatario deve praticare, per le prestazioni affidate in subappalto, gli stessi prezzi unitari risultanti dall’aggiudicazione, con ribasso non superiore al venti per cento, nel rispetto degli standard qualitativi e prestazionali previsti nel contratto di appalto (…); la stazione appaltante (…) provvede alla verifica dell’effettiva applicazione della presente disposizione” (sul punto, si evidenzia che analoga disposizione era altresì contenuta nell’abrogato art. 118 del d.lgs. n. 163/2006).
Ebbene, il TAR ha annullato il suddetto provvedimento proprio in virtù della non conformità al diritto UE della normativa citata che, pertanto, avrebbe dovuto essere disapplicata direttamente dalla stessa stazione appaltante. Ciò, coerentemente con i dicta della sentenza 27 novembre 2019, C-402/18, in cui la CGUE ha dichiarato, tra l’altro, l’illegittimità della disciplina italiana nella parte in cui vietava che i prezzi applicabili alle prestazioni affidate in subappalto fossero ridotti di oltre il 20% rispetto ai prezzi risultanti dall’aggiudicazione, trattandosi di strumento eccedente rispetto alla necessità di assicurare la tutela salariale dei lavoratori impiegati nel subappalto.
Al riguardo, si segnala che il comma 14 citato è stato successivamente modificato per effetto dell’art. 49, I comma, lett. b), del d.l. 31 maggio 2021, n. 77 – convertito con modificazioni dalla l. 29 luglio 2021, n. 108 -, in senso conforme alla ripetuta sentenza CGUE 27 novembre 2019, C-402/18. Per effetto della riforma, è stato soppresso il riferimento ai limiti di ribasso per i prezzi, ed ora si stabilisce invece che “Il subappaltatore, per le prestazioni affidate in subappalto, deve garantire gli stessi standard qualitativi e prestazionali previsti nel contratto di appalto e riconoscere ai lavoratori un trattamento economico e normativo non inferiore a quello che avrebbe garantito il contraente principale, inclusa l’applicazione dei medesimi contratti collettivi nazionali di lavoro, qualora le attività oggetto di subappalto coincidano con quelle caratterizzanti l’oggetto dell’appalto ovvero riguardino le lavorazioni relative alle categorie prevalenti e siano incluse nell’oggetto sociale del contraente principale”.