La Corte di Cassazione, tramite la sentenza n. 34398 del 16 settembre 2021 , è tornata ad occuparsi delle terre e rocce da scavo per ribadire la necessità di rispettare le regole e le condizioni contenute nel DPR 120/2017, al fine di poter gestire le terre e rocce da scavo come sottoprodotti e non come rifiuti.
In particolare, la Corte ha evidenziato come nel caso di presentazione tardiva della D.A.U.(Dichiarazione di Avvenuto Utilizzo) o della sua compilazione inesatta/incompleta oppure omessa, non si possa applicare la deroga alla disciplina dei rifiuti contenuta nel DPR 120/2017, con la conseguenza che, in tali casi, le terre e rocce da scavo dovranno essere gestite con lo status giuridico di “rifiuti” e la loro gestione sarà soggetta alle prescrizioni e alle sanzioni del Decreto Legislativo 152/2006 (T.U.A. Testo Unico Ambientale).
Nel caso di specie, il produttore (cioè la ditta che aveva eseguito gli scavi) aveva commesso numerosi errori nella predisposizione della dichiarazione D.A.U., con particolare riferimento all’individuazione del sito di provenienza e del sito di destinazione, nonché alle finalità del reimpiego delle terre e rocce da scavo; inoltre la dichiarazione D.A.U. era stata presentata in epoca successiva all’esecuzione del trasporto delle terre, non rispettando quindi le tempistiche previste dal DPR 12/2017.
Per questi motivi, i giudici hanno escluso che le terre e rocce da scavo potessero essere qualificate come sottoprodotto e conseguentemente hanno ritenuto sussistente il reato di attività di gestione di rifiuti non autorizzata. In questi casi la sanzione è prevista dall’art. 256, comma 1, lettera a) del D.Lgs. n. 152/2006 con importi da 2.600 Euro a 26.000 Euro che, per effetto delle disposizioni previste dall’art. 16 comma 1 della Legge 689/1981 (cioè doppio del minimo oppure 1/3 del massimo) viene quantificata in 5.200 Euro (che corrisponde all’importo più favorevole per il trasgressore) trattandosi di rifiuti non pericolosi.